Quel che vi serve sapere: Dopo aver rinunciato al doppio ruolo di Pantera Nera e di sovrano del Wakanda, T’Challa si è trasferito a New York dove ha assunto l’identità di Thomas Chalmers, assistente sociale nel quartiere di Harlem e contemporaneamente ha iniziato l’attività di supereroe urbano con il nome di Leopardo Nero. Al suo fianco ha Okoye, già membro delle Dora Milaje, la guardia personale interamente femminile del sovrano del Wakanda. Anche Okoye ha assunto un’identità civile americana: quella di Dora Milton, impiegata in un centro di assistenza per donne maltrattate.

Nei panni del Leopardo Nero T’Challa si è scontrato con un’organizzazione criminale che traffica in esseri umani ed è segretamente guidata da un uomo conosciuto come Vlad l’Impalatore che in realtà è dal presunto uomo d’affari rumeno Vlad Dinu.

Il figlio maggiore di Vlad, Nicolae, che è anche il suo braccio destro, incarica la misteriosa Sasha Montenegro di eliminare il Leopardo Nero. T’Challa è aggredito da una misteriosa adolescente che i suoi sensi gli dicono essere collegata al defunto Kraven il Cacciatore.

Intanto in Wakanda, M’Koni, cugina di T’Challa, si è insediata sul trono ed ha avviato un vasto programma di riforme politiche e sociali che non piace ad una fazione ultra conservatrice mentre dall’esterno si fa sempre più incombente la minaccia del Dottor Crocodile.

Riusciranno la nuova e la vecchia Pantera Nera a cavarsela?

 

 

 

Di Carlo Monni

(con tanti ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)

 

 

Capitolo 15

 

Cacciatori e prede

 

 

South Bronx, New York City.

 

Il Leopardo Nero stava letteralmente cadendo verso la morte, una caduta di dieci piani dal tetto di una palazzina che con i muscoli semiparalizzati era quasi impossibile che potesse bloccare. Il suo costume era intessuto con fibre di vibranio che forse avrebbero potuto smorzare gli effetti di una caduta più breve ma difficilmente da così in alto.

Mentre il suolo si avvicinava sempre di più la sua mente ragionava vorticosamente. Era stata una ragazza a fargli questo: prima sparandogli una specie di scarica elettrica che lo aveva paralizzato e poi gettandolo dal tetto dove si trovavano. Una ragazza giovanissima, appena adolescente, che non aveva mai visto prima e di cui non sapeva nemmeno il nome ma improvvisamente aveva capito una cosa: il suo odore era molto simile a quello di Kraven il Cacciatore, il figlio dell’originale di cui aveva assunto il nome di battaglia ed il ruolo e con cui lui si era scontrato tempo prima, quando era ancora la Pantera Nera.[1] Quella ragazza doveva essere una sorella o qualcosa di simile. Non che saperlo avrebbe migliorato la sua situazione.

I muscoli stavano ricominciando a rispondere ma forse non abbastanza velocemente.

Che modo stupido di morire.

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.

 

La giornata di un Capo di Stato comincia sempre presto ed il fatto che il suo ruolo fosse ormai in larga parte puramente simbolico e cerimoniale non rendeva la cosa meno pesante per M’Koni, la nuova Pantera Nera. Alle sette del mattino ora locale era già in piedi e vestita del costume rituale tranne la maschera. Intenta ad una frugale colazione con suo figlio Billy, ora noto anche come Principe T’Chanda.

<Il Primo Ministro desidera conferire con lei.> le annunciò il maggiordomo.

<Fallo passare.> replicò M’Koni.

<Io vado.> disse Billy.

<Rimani, ti prego.> ribattè la madre <Credo che sia giusto che tu impari qualcosa di come si gestiscono gli affari del Regno.>

Mentre imparo a farlo anch’io, pensò, ma non disse.

Pochi minuti dopo Taku, il nuovo Primo Ministro entrò nella sala.

<Mia Sovrana…> esordì

<Ci conosciamo sin da quando eravamo bambini, Taku. Per te sarò sempre e solo M’Koni.>

<Come desideri… M’Koni. Sono venuto a sottoporre alla tua approvazione la lista dei ministri del mio governo.>

<Conoscendoti, non dubito che avrai scelto bene, ma ora siediti e mentre discutiamo facci compagnia a colazione >

<Non è necessario, io…>

<Devo ordinartelo, forse?> replicò sorridendo M’Koni.

<Beh… se è un ordine immagino di non avere altra scelta che obbedire.> ribattè Taku sorridendo a sua volta e sedendosi.

 

 

South Bronx, New York City.

 

Non poteva morire così, si ripeteva il Leopardo Nero. Doveva tentare qualcosa a tutti i costi. 

Le sue dita intorpidite artigliarono inutilmente l’aria ma le gambe cominciavano a rispondere. Sembrò un eternità ma in realtà furono solo pochi secondi. Con uno sforzo che gli sembrò immane deviò la sua traiettoria quel tanto che bastava per piombare sul cassone di un camion della nettezza urbana e lì rimanere.

Sopra di lui una ragazza che sembrava a malapena adolescente e che vestiva una calzamaglia marrone aveva osservato la scena.

Il suo lavoro non era ancora finito.

 

 

Da qualche parte nei cieli dell’Africa Centrale.

 

C’erano molte cose che si potevano dire di Joshua N’Dingi ma non che mancasse di determinazione. Quando si metteva in testa qualcosa non desisteva fino a che non l’aveva portata a termine. Era stata la quella forza di volontà che gli aveva consentito di reagire quando un’esplosione lo aveva privato di un, braccio, una gamba ed un occhio devastandogli contemporaneamente mezza faccia.[2] Avanzatissime protesi cibernetiche avevano sostituito gli arti e l’occhio perduti. Aveva concluso con successo i suoi studi nel Regno Unito ed era tornato nel suo paese natio, il Mbangawi, dove era divenuto prima capo ereditario della sua etnia e poi Presidente dell’intera nazione. A causa del suo aspetto e soprattutto delle cicatrici che deturpavano la sua faccia e che assomigliavano alle scaglie di un coccodrillo, la gente aveva preso a chiamarlo Dottor Crocodile e si diceva che fosse uno stregone e che fosse capace di trasformarsi nell’animale di cui portava il nome. Dicerie che lui non si curava di smentire e che forse lui stesso si divertiva ad alimentare. Leggende senza fondamento o c’era un fondo di verità? Solo lui sapeva la risposta.

Joshua N’Dingi era un uomo con una visione, la visione dei piccoli Stati dell’Africa Centrale uniti in una federazione che avrebbe contato nello scacchiere geopolitico internazionale. Lui personalmente non si considerava un tiranno ma riteneva comunque di essere l’unico in grado di guidare la Federazione Panafricana nel periodo turbolento della sua formazione ma una volta che fosse stata consolidata lui avrebbe volentieri ceduto il potere se il Popolo così avesse voluto in elezioni libere e democratiche. Questo ripeteva spesso anche ai suoi collaboratori e forse si era autoconvinto che era quello che voleva davvero.

Joshua N’Dingi era un uomo con un sogno ma sulla strada della sua realizzazione c’era un ostacolo e quell’ostacolo aveva un nome: Wakanda.

Seduto nel salottino del jet che fungeva da suo quartier generale viaggiante, il Dottor Crocodile fissò i membri della squadra speciale composta da uomini e donne molto particolari.

<La guerra con il Wakanda è inevitabile, inutile farsi illusioni. Finora non è intervenuto perché la sua leadership era incerta ma adesso la nuova Pantera Nera si è insediata è solo questione di tempo prima che decida di intervenire al fianco dei suoi alleati che abbiamo attaccato.>

<Io dico che dobbiamo colpire per primi.> affermò con vigore un uomo alto con un teschio bianco tatuato sulla faccia: Raul Bushman, capo di Stato Maggiore delle forze armate della Federazione.

Esattamente la reazione che Crocodile si aspettava da lui.

<I tuoi commandos sono pronti?> gli chiese

<Li hai visti alla prova, non ti basta?> fu la secca replica.

<Allora procedi.>

 

 

South Bronx, New York City.

 

Il camion procedeva a velocità regolare verso il centro di stoccaggio da cui poi i rifiuti che trasportava avrebbero iniziato il lungo viaggio che li avrebbe portati lontano dalla Grande Mela. A quell’ora il traffico sull’Alexander Hamilton Bridge che attraversava l’Harlem River era quasi inesistente.

Il Leopardo Nero aprì gli occhi. L’impatto lo aveva stordito ma almeno era vivo e la paralisi provocata dalla scarica elettrica sparatagli dalla sua misteriosa avversaria si era ormai completamente dissolta.

Con un agile balzo saltò giù dal veicolo in movimento ed atterrò sull’asfalto con la grazia di un felino. Ora doveva orientarsi e capire dove si trovasse.

Il calcio alla schiena quasi lo sorprese… quasi perché in realtà lo aveva sentito arrivare con qualche istante di anticipo. Si proiettò in avanti attutendo l’impatto. Fece una capriola roteando su se stesso atterrando agilmente e trovandosi faccia a faccia con la giovane bionda… proprio come aveva immaginato.

<Sei proprio in gamba come mi avevano detto….> disse lei con un sorrisetto strafottente in viso <… ma non abbastanza per me.>

<Chi sei?> le chiese lui mentre stringeva gli occhi dietro la maschera <Hai un legame con il defunto Kraven il Cacciatore. Sei una dei suoi figli come Alyosha?>

<Non paragonarmi a quel bastardo!> gridò lei <Non è degno del nome dei Kravinoff!>

La rabbia è una cattiva consigliera, pensò il Leopardo Nero mentre evitava un calcio rotante ed afferrava la caviglia della sua avversaria arrestando il suo slancio a mezz’aria facendole fare un mezzo giro e proiettandola lontano.

<Adesso facciamo sul serio.> disse.

Per tutta risposta la ragazza gli lanciò contro un coltello che T’Challa evitò di misura. Lei tentò un nuovo assalto balzando verso di lui.

Era brava, ammise tra sé T’Challa. Era ovvio che era stata addestrata in diverse arti marziali che aveva fuso in uno stile unico e micidiale.

Era anche altrettanto ovvio che era stata potenziata dalle stesse pozioni che usavano suo padre e suo fratello. Se non avesse avuto anche lui abilità superumane il Leopardo Nero sarebbe stato in seria difficoltà.

La lotta era fatta di mosse, schivate e finte badando ad evitare anche i veicoli che transitavano per il ponte, il che rendeva tutto ancora più difficile..

Proprio evitando un’auto il Leopardo Nero balzò su uno dei parapetti del ponte. La sua avversaria lo raggiunse e provò ad assestargli un calcio. Lui lo evitò ma perse l’equilibrio riuscendo solo all’ultimo momento ad afferrare la caviglia della ragazza.

Entrambi precipitarono dal ponte e le acque dell’Harlem River si chiusero su di loro.

Per un tempo che ad un osservatore sarebbe probabilmente sarebbe sembrato interminabile nulla si mosse e solo qualche increspatura delle acque poteva far pensare che sotto la superficie stesse accadendo qualcosa.

Finalmente qualcuno emerse. Era la ragazza bionda che prese un profondo respiro e poi nuotò vigorosamente sino alla riva più vicina. Nella mano destra stringeva il suo trofeo: la maschera del Leopardo Nero.

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda.

 

Akeja, anzi il Dottor Akeja era un tipo all’apparenza tranquillo ed inoffensivo. Robusto ma non realmente grasso, ricordava vagamente lo storico leader africano Yomo Kenyatta e gli occhiali gli conferivano un’aria autorevole. Era insegnante e del classico professore aveva i modi.

Rivolse lo sguardo ai presenti nella saletta e disse con voce calma:

<Ho deciso di candidarmi a Primo Ministro per il Partito Desturi.>

<Vuoi davvero partecipare a quella buffonata che chiamano elezioni?> ribattè uno.

<Se potremo guadagnare il potere pacificamente con il consenso della popolazione sarà tanto di guadagnato. Il nostro scopo è preservare le tradizioni del Wakanda, non distruggerlo con una guerra civile.>

<E se il popolo non dovesse seguirci?> intervenne un altro?>

Akeja sorrise e rispose:

<Sono pronto anche a questo. Ascoltatemi bene.>

 

 

Claremont, Bronx, New York City.

 

Zebra Daddy era l’immagine stereotipata del pappone afroamericano e, bisogna essere onesti, era esattamente quello che era e non ne faceva affatto mistero.

Il Leopardo Nero lo aveva seguito sperando che lo portasse al nuovo rifugio dove erano segregate le ragazze che l’organizzazione di cui faceva parte faceva venire dall’estero, spesso con false promesse, per avviarle alla prostituzione. Purtroppo l’attacco che aveva subito gli aveva impedito di portare a termine la sua missione. Per sua fortuna aveva pronta una contromisura.

Era quasi l’alba quando Zebra Daddy uscì da un casermone la cui facciata avrebbe avuto bisogno di un’urgente ristrutturazione e si incammino verso la più vicina fermata della metropolitana. Non ci sarebbe mai arrivato.

Improvvisamente si sentì strattonare e spingere contro un muro mentre una voce femminile gli diceva:

<Ti ricordi di me, maiale?>

Certo che la ricordava: era la puttana negra in costume rosso e mascherina domino che era con il Leopardo Nero l’ultima volta.[3] Che voleva adesso da lui?

<Io e te adesso faremo una bella chiacchierata.> disse l’altra..

<Non ho nulla da dirti, troia.> ribattè Zebra Daddy.

Si ritrovò la lama affilata di un coltello infilata in una narice mentre la donna vestita di rosso replicava:

<Scommettiamo?>

La vescica gli cedette di colpo.

 

 

Sutton Place, Manhattan.

 

Il luogo era una costosa casa in arenaria. In un salotto lussuosamente arredato una donna stava aspettando. Aveva corti capelli neri ed occhi azzurri e dimostrava circa quarant’anni.  Si faceva chiamare Sasha Montenegro ma non era il suo vero nome

Chi la conosceva bene avrebbe potuto notare segni di apprensione e preoccupazione sul suo bel viso che ad altri sarebbe sembrato impassibile.

Solo quando la ragazza dai capelli biondi ed in calzamaglia marrone entrò nel salotto i suoi lineamenti si distesero.

<Finalmente sei tornata, Anastasia.> le si rivolse in una lingua slava <Com’è andata la caccia?>

Con un gesto teatrale la ragazza gettò su un tavolino una maschera scura e rispose nella stessa lingua:

<Puoi avvisare Vlad l’Impalatore che il Leopardo Nero è morto.>

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda.

 

Quando M‘Koni entrò nella sala riunioni del Governo tutti si alzarono in piedi con deferenza e lei disse:

<State pure seduti,.>

Le obbedirono solo quando anche lei si fu seduta a capotavola, con alla destra il nuovo Primo Ministro Taku ed alla sinistra il Ministro della Difesa W’Kabi.

Per M’Koni era un esordio assoluto e sentiva su di sé lo sguardo di tutti i presenti. Erano consapevoli del suo nervosismo? Cosa avrebbe dovuto dire?

Fu Taku a trarla dall’imbarazzo.

<La prima cosa all’ordine del giorno è naturalmente il Dottor Crocodile. Il Djanda ha accettato di unirsi alla sua Federazione Panafricana e le truppe della Federazione sono entrate nel suo territorio senza sparare un colpo. La Presidente Bridget Hapanmyas è stata dichiarata decaduta e Beben Oamat è stato nominato Governatore provvisorio.>

<Non piangerò certo per quella baldracca.> intervenne W’Kabi nel suo abituale modo colorito <È stata fortunata a non essere in patria quando è successo tutto o Crocodile l’avrebbe fatta appendere per i piedi davanti al palazzo presidenziale… ed io avrei applaudito.>

<Che faremo se dovesse chiederci asilo?> chiese il Ministro degli Esteri, Amara Azikiwe.

<Il mio primo istinto sarebbe di negarglielo.> rispose Taku <Tuttavia consegnarla nelle mani di Crocodile equivarrebbe ad una condanna a morte sicura come ha sottolineato a modo suo W’Kabi.>

<E sarebbe meritata, visti i crimini di cui si è macchiata contro il suo stesso popolo.> ribattè quest’ultimo.

M’Koni sentì su di sé gli sguardi di tutti. Anche se la recente Costituzione aveva ridotto di parecchio i suoi poteri come Capo dello Stato, i presenti si aspettavano che avesse qualcosa da dire.

<La mia proposta è di non concedere asilo a Bridget Hapanmyas ma anche di non consegnarla alla Federazione Panafricana bensì alla Corte Penale Internazionale oppure processarla noi stessi.> disse infine.

<Mi sembra un’ottima idea.> approvò Taku.

<Ora bisogna vedere come metterla in pratica.> commentò Amara Azikiwe.

<Posso occuparmene io.> intervenne un uomo alto e calvo con una benda sull’occhio sinistro, Omoro, capo dei Servizi segreti wakandani < Bridget Hapanmyas è a New York in questo momento ed io ho già qualche idea su come fare a… prelevarla.>

Di nuovo gli sguardi di tutti si puntarono su M’Koni. I servizi segreti erano una delle poche cose rimaste sotto la sua diretta responsabilità. Toccava a lei decidere.

Sospirò e disse:

<Procedi pure come ritieni più opportuno, Omoro.>

 

 

One Police Plaza, Manhattan, New York City.

 

L’ultima cosa che il Tenente Molly von Richthofen si aspettava di trovare entrando nel suo ufficio alla Divisione Buoncostume del Dipartimento di Polizia di New York era di trovare disteso sulla sua scrivania, legato mani e piedi ed imbavagliato, quello che aveva tutta l’aria di essere un pappa di colore.

Un ‘altra sorpresa, ma decisamente più piacevole, fu trovare nella stanza anche una giovane donna, pure lei di colore, che indossava un attillato abitino rosso decisamente molto corto ed il cui volto era parzialmente nascosto da una maschera domino non che il suo volto fosse esattamente il punto in cui era focalizzato lo sguardo della poliziotta.

<Che ci fai qui?> le chiese infine <Come sei entrata?>

La sua interlocutrice si limitò ad un’alzata di spalle come a dire che la cosa non aveva importanza

Molly fece una smorfia ed aggiunse.

<Detesto i supereroi… certo per una gnocca come te potrei anche fare un’eccezione. Tu sei l’amichetta di quel Leopardo Nero, giusto? Ti ho vista con lui al centro per donne maltrattate.[4] Ce l’hai un nome?>

<Puoi chiamarmi Okoye.> replicò lei con un evidente accento di qualche parte dell’Africa.

<E tu puoi chiamarmi quando vuoi. Pessima battuta, lo so.>

Molly volse lo sguardo verso l’uomo sulla scrivania e chiese:

<E questo chi è? Mi sembra vagamente familiare. Devo aver visto la sua brutta faccia su qualche foto segnaletica.>

<Si fa chiamare Zebra Daddy. È… come dite voi americani? Oh, sì: un pappone.  Sarà molto felice di raccontarvi tutto quello che sa sull’organizzazione di cui fa parte e sul suo capo che si fa chiamare Vlad l’Impalatore… gli ho spiegato bene cosa gli accadrà se non lo fa.>

Detto questo, Okoye balzò agilmente sul davanzale di una finestra aperta.

<Ehi!> e urlò Molly <Pensi di potertene andare via così?>

<Se vuole fermarmi dovrà spararmi.> ribattè Okoye. <Vuole davvero farlo, Tenente?>

Naturalmente no, pensò Molly.

 Okoye balzò oltre il davanzale e Molly sospirò.

Alle sue spalle entrarono due detective e vedendo Zebra Daddy sulla scrivania uno dei due esclamò:

<E questo come ci è arrivato qui?>

<Dovreste spiegarmelo voi come è stato possibile.> replicò Molly in tono acido <Slegatelo poi ammanettatelo con tutti i crismi, leggetegli i suoi diritti e portatelo in una cella… ma prima trovategli un paio di pantaloni puliti.>

 

 

Upper East Side, Manhattan, New York City.

 

Vlad Dinu, poteva a buon diritto definirsi un uomo di successo. Dimostrava a malapena cinquant’anni, la barba ed i capelli erano neri e spruzzati di bianco, era alto e fisicamente ancora prestante.. Per tutti era un ricco uomo d’affari emigrato dalla Romania che si era rapidamente integrato nella Grande Mela, e viveva in una bella villa in uno dei quartieri più esclusivi della città assieme ad un figlio adulto, che era anche il suo braccio destro nel lavoro, alla seconda moglie molto bella e molto più giovane ed al figlio che lei gli aveva dato.

Come ogni mattina Vlad salutò la moglie Angela ed il piccolo Gabriel e salì sulla limousine che l’avrebbe portato al suo ufficio per una nuova giornata di lavoro. Nemmeno sua moglie sapeva esattamente di che lavoro si trattasse e non le sarebbe convenuto farsi troppe domande perché la verità non le sarebbe piaciuta

La verità, infatti, era che dietro la facciata di Vlad Dinu imprenditore di successo si nascondeva Vlad l’Impalatore, il crudele e spietato boss di un’organizzazione criminale che trafficava in esseri umani.

Durante il tragitto verso il suo ufficio consultò rapidamente un cellulare criptato e sorrise sinistramente alla notizie che lesse. Rapide digitazioni ed una somma cospicua fu trasferita da un conto off shore ad un altro.

Molto soddisfacente, pensò

Improvvisamente il cellulare vibrò. Era in arrivo una telefonata da un numero che conosceva molto bene.

Rispose immediatamente e dopo una breve conversazione si rivolse in Rumeno all’autista:

<Niente ufficio per ora, Daniel. Portami a Gramercy Park.>

<Come desidera, Signore.> replicò l’altro nella stessa lingua.

Più tardi la limousine si fermò davanti ad una casa di arenaria. Vlad Dinu ne scese ed entrò nella casa. Nel salotto, accanto al caminetto, lo attendeva una donna attraente, bionda, sui trent’anni, capelli raccolti a coda di cavallo ed occhi di ghiaccio.

<Ora che siamo faccia a faccia, vuoi dirmi quale sarebbe il problema, Vera?> esordì Vlad senza preamboli esprimendosi sempre in Rumeno:

<Tiberiu è morto. Lo ha ucciso il Punitore prima di evadere dal carcere.>[5] rispose Vera Kostantin.

<Lo so, l’ho sentito al notiziario. Spiacevole ma forse inevitabile.>

Tiberiu Bulat era uno dei suoi soci nell’impresa criminale. Si occupava dei lati più sgradevoli ed era lui stesso un uomo sgradevole, rozzo e violento. Tutto sommato Vlad non era molto dispiaciuto della sua dipartita.

<Cristu è ancora in carcere. Dobbiamo tirarlo fuori di lì.> disse con enfasi Vera.

Cristu Bulat era il figlio di Tiberiu ed un altro dei soci di Vlad.

<Beh, se il Punitore è evaso non può certo uccidere anche lui ormai. Forse il nostro amico è più al sicuro dietro le sbarre in questo momento.> replicò Vlad con un sorrisetto divertito.

<Non scherzare Vlad. E se il Punitore fosse sulle nostre tracce?>

<Allora penseremo anche a lui come abbiamo fatto con il Leopardo Nero. È un uomo, non un demonio e gli uomini possono morire.>

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.

 

Mentre rientrava nei suoi appartamenti, M’Koni era immersa in cupi pensieri. Era sul trono da pochi giorni e già aveva dovuto prendere decisioni difficili alcune delle quali pesavano sulla sua coscienza. Era questo che significava regnare sul Wakanda? Essere la Pantera Nera? Era davvero adatta al ruolo?

<Posso chiederti una cosa, Mia Sovrana?>

A parlare era stata Ayo, la comandante delle Dora Milaje, la guardia d’èlite esclusivamente femminile il cui compito era la protezione del sovrano di Wakanda nonché fungere da sue potenziali concubine, ruolo che avevano perso con la salita al trono di T’Challa e che di certo non interessava M’Koni.

<Dimmi pure, Ayo.> rispose.

La guerriera sembrava decisamente imbarazzata. Non era da lei.

<Come tu sai, a noi Dora Milaje è proibito avere relazioni e tanto meno sposarci finché siamo in servizio attivo… ma la Pantera Nera può concedere una dispensa.>

<Intenderesti sposare qualcuno, Ayo?>

La guerriera deglutì prima di rispondere:

<Sì… Aneka.>

Ecco, questo era uno sviluppo del tutto inaspettato. Non era passato molto tempo dai tumulti organizzati da fazioni estremiste contro il matrimonio di N’Kano con un diplomatico australiano,[6] come avrebbero reagito alla notizia di un secondo matrimonio omosessuale per giunta tra due Dora Milaje? Beh, poteva essere interessante scoprirlo.

<Tu che ne pensi, Aneka?> chiese M’Koni alla seconda guardia del corpo che, non casualmente era ovvio, era proprio l’altra interessata.

<Sarei felice di essere la compagna di Ayo ma accetterò la tua decisione quale che sia, mia Signora.> rispose Aneka.

<Bene, io penso che...>

M’Koni non riuscì a finire la frase. Improvvisamente una vetrata andò in frantumi ed una giovane donna in calzamaglia blu armata di lancia piombò all’interno.

Fu Ayo la prima a riconoscerla ed esclamare in tono sorpreso:

<Nakia?>

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Poco da dire in realtà, quindi perché perdere tempo?

1)     Anastasia Sergeievna Kravinova, o Ana Kravinov è la figlia minore dell’originale Kraven il cacciatore, nata dal suo matrimonio con l’aristocratica montenegrina Aleksandra Nikolaieva. È stata creata da Marc Guggenheim & Phil Jimenez su Amazing Spider Man #566 datato settembre 2008. Sua madre è invece apparsa nel numero successivo.

2)     Una nota sui nomi di Ana e sua madre che dimostra non solo l’assoluta ignoranza degli autori Marvel ma non solo di loro sull’onomastica slava e russa in particolare nonché su altri particolari.. Aleksandra Nikolaievna è presentata come la figlia del Granduca russo Mikhail Alexei Nikolaievitch e qui cominciano i pasticci. Innanzitutto i russi non usano secondi nomi ma solo i patronimici. In secondo luogo Granduca/Granduchessa era un titolo riservato esclusivamente ai figli ed ai nipoti in linea maschile di uno zar. I restanti membri della casa reale avevano il titolo di Principe e Principessa. Se il padre di Sasha era un granduca anche di seconda generazione, il suo cognome doveva essere Romanov Non Nikolaievitch. Quindi, il nome corretto di Sasha doveva essere Aleksandra Alexievna Romanova o, se scegliamo di ignorare Alexei, Alexandra Nikolaievna Romanova. Dopo lunga riflessione ho deciso di ignorare le sballate origini russe e farne una montenegrina pura con il nome di Aleksandra Nikolaieva e “degradare” il padre da fittizio ed impossibile granduca russo a duca montenegrino.  Il biasimo sia solo mio.

3)     Ayo è un personaggio creato da Al Ewing & Kenneth Rocafort su Ultimates Vol. 2° #1 datato gennaio 2016.

4)     Aneka è un personaggio creato da Jonathan Maberry & Will Conrad su Black Panther Vol. 5° #8 datato novembre 2009.

5)     La storia d’amore tra Ayo ed Aneka è stata introdotta in modo decisamente più drammatico da Ta-Nehisi Coates su Black Panther Vol. 6° #1 datato giugno 2016.

6)     Akeja è stato creato da Jonathan Maberry & Will Conrad su Black Panther Vol. 5° 12 datato marzo 2010.

7)     Un dovuto ringraziamento a Mickey per il sostegno ed a Carmelo Mobilia per il quale la porta è sempre aperta

Nel prossimo episodio: la guerra alle porte di Wakanda e molto di più.



[1] Per la precisione su Black Panther Vol 3° #7 (In Italia su Cavalieri Marvel #7).

[2] Su Captain Britain Vol. 2° #10 datato ottobre 1985.

[3] Tre numeri fa.

[4] Nell’episodio #12.

[5] Nello scorso episodio.

[6] Vedi Fantastici Quattro #35/36.